
L’elaborazione del lutto secondo Natura
La morte vista dai vivi
In ambito esistenziale ogni cosa ha un inizio ed una fine, e questo è ampiamente conosciuto e dovrebbe pertanto poter essere gestito in modo naturale per come la vita prevede il ciclo di esistenza, ma purtroppo non sempre è così, la elaborazione del lutto resta un argomento molto evitato e quindi poco trattato.
Vediamo secondo la psicologia diciamo “classica” quali sono le principali fasi del dolore e della elaborazione del lutto o perdita. A fine anni ’60, nel 1969, la psichiatra svizzera Elizabeth Kùbler Ross elaborò una teoria circa le fasi della elaborazione del lutto, che sono tuttora seguite dalla psicologia classica attuale, e che sarebbero le fasi che una persona si trova ad affrontare dopo una perdita, in linea di massima con tempi e modalità che possono variare in relazione al singolo caso.
Le 5 fasi del lutto evidenziate in sintesi sono:
- rifiuto o negazione, è una forma di difesa come prima reazione, non ci credo;
- rabbia, perché è successo a me, cosa abbiamo fatto di male per meritarlo;
- patteggiamento, si cerca di riprendere l’equilibrio con una fase di alti e bassi;
- depressione, stato di tristezza con tutte le correlazioni di questo stato;
- accettazione, il tempo è grande medico e si volta pagina.
Di fatto lutto di per sé indica uno stato d’animo che può essere causato anche da abbandono o separazione, e chi ha provato una simile situazione ne conosce le varie fasi e le manifestazioni sia interne che esterne. L’unico modo è accettare la situazione e reagire, in merito al tempo è decisamente variabile.
Da fine anni ’60 questa è la posizione della psicologia, a conferma di quanto una decina di anni prima era stato evidenziato dalla pubblicazione di una opera di Husserl, 1956 La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, e confermato da incontro nel 1936 tra i maggiori psicologi dell’epoca che confermavano la carenza della psicologia e si auspicavano la venuta di una nuova quarta forza in grado di mettere in relazione anche la spiritualità, relazione che avrebbe messo in collegamento l’uomo con il progetto di Natura e quindi non ci sarebbero più stati aspetti non conosciuti o non conoscibili.
“Natura naturans”: noi siamo un prodotto della Natura e quindi in quanto tali noi possiamo conoscere se entriamo nella logica delle leggi eterne della natura in base alle quali esiste un ordine perfetto e tutto ha un senso e una proporzione e l’inconscio, mistero non esiste. In natura, infatti, il problema della morte non c’è, se osserviamo gli animali quando arriva il momento si allontanano per fare il passaggio da soli e questo non crea nessun problema lo stesso accade quando un gruppo di animali subisce un attacco da parte di un predatore, al momento è scompiglio ma un attimo dopo ritorna la calma e questo perché fa parte della vita. Noi siamo esseri superiori al mondo animale abbiamo la capacità riflessiva, la coscienza, siamo dotati di un maggiore potenziale che si può esprimere poi in molteplici attività, creatività, emozioni, sentimenti, visione del mondo e della realtà, e siamo anche gli unici che tendono a subire in modo pesante questo aspetto legato alla fine di un ciclo vitale oppure ad un evento tragico o non voluto che ci comporta una perdita, e tutto questo ci porta alla considerazione che ci manca la consapevolezza della nostra posizione nell’esistenza.
Un elevato grado di consapevolezza del valore dell’esistenza e del rapporto intimo con le leggi della natura infatti comporta un atteggiamento completamente differente, è necessario però un percorso individuale per arrivare a vedere il reale come è e non come appare, questo è il compito maestro della psicologia autentica come scienza, far vedere il reale come è e non come appare, poi “se vuoi e sai allora puoi” e noi come Fondazione Homo Novus abbiamo queste competenze e le mettiamo a disposizione.
Questo approccio ha alla base un asserto, vivere per essere e non per avere, noi siamo chiamati a vivere una vita dedicata al piacere in tutte le sue sfaccettature, il piacere di fare, il piacere della relazione, il piacere creativo, il piacere della convivialità, in sintesi, il piacere di esistere, e nel fare questo dobbiamo capitalizzare tutto quello che abbiamo a disposizione se c’è e non essere mai nella difficoltà della carenza quando non c’è.
Questo vuol dire addestrarsi al difficile compito di distaccarsi da tutto quello che temiamo di perdere, cogliere l’attimo fuggente dell’azione con la piena consapevolezza del suo valore esistenziale e quantico.
Apparentemente è riduttivo ma nella realtà, in quella stessa realtà che prevede che non si può calpestare due volte la stessa acqua, questo rappresenta la vera essenza della piena consapevolezza dell’esistenza e dell’esistere come partecipante attivo e non passivo, anche se per posizione ci si trova ad esistere una esistenza in ciclo biologico, vale a dire una vita normale nel senso biologico, nascita sviluppo vita sociale, lavoro famiglia, procreazione per la continuazione biologica della specie, maturità vecchiaia e morte come passaggio ad un altro stadio, ciclo del tutto rispettabile che se vissuto bene permette una vita serena realizzata con soddisfazione e tranquillità in previsione del passaggio in quanto è naturale.
Questo è quanto previsto dalla natura e questo è il contributo che la psicologia sarebbe chiamata a dare e che può effettivamente fare ad oggi nella espressione umanistico esistenziale aggiornata dagli anni ’70 ad oggi, da quella quarta forza che era stata auspicata dai grandi della psicologia mondiale.
A riprova di ciò posso portare la mia esperienza personale frutto di un lungo lavoro individuale che mi ha permesso di cogliere la situazione emotiva al momento del passaggio sia di madre che di mio padre, che è risultata a livello di comunicazione empatica talmente semplice ed evidente che non poteva che essere condivisa, lasciatemi andare sono troppo stanca nel caso di mia madre e sono contento che raggiungo la mia amata nel caso di mio padre; quindi, che dire se non “andate in pace”.
Il vero punto è che il lutto o l’abbandono, separazione, incide negativamente se la persona non è ben centrata su sé stessa o sul suo ambiente operativo e quindi si appoggia ad altri fa uno spostamento sia su cose animali o persone come necessari, come carenza sia affettiva che di realizzazione, pensiamo al riguardo il valore delle immagini, le fotografie che si tengono sulla scrivania, in casa o nel portafoglio, una volta si portavano anche in auto, dimmi di quali immagini ti nutri e saprò chi sei, ma questo è un argomento che merita tutto un discorso a sé.
Molto spesso prende il sopravvento il senso di colpa riferito a situazioni di carenza di azioni nei confronti del congiunto e quindi di responsabilità che però se si analizzano con calma, non risultano né reali né corrispondenti al vissuto, la memoria tende a sfalsare infatti il ricordo a svantaggio della persona come punto di aggancio per colpevolizzarsi e ridursi, è sufficiente infatti parlando con le persone che stanno vivendo con forte senso di colpa e fare delle domande specifiche e si aprono molte alternative,
esempio io dovevo essergli vicino in quel momento, si ma non ricordi che non era possibile? e poi anche se fossi stato presente forse non te ne saresti accorto oppure non sarebbe stato possibile intervenire e poi nella ipotesi della presenza quanto avrebbe giovato in una situazione ormai compromessa? Se si parla, si evidenzia un situazione che non è affatto come viene vissuta al proprio interno e la cosa peggio è che non viene accettata come possibile e questo però evidenzia una forma di scelta della persona che si colpevolizza per non responsabilizzarsi, una forma di autocondanna assolutamente gratuita che però se si indaga ha origine in qualche errore o situazione non vissuta nel passato e non necessariamente riferita
al congiunto. Tutto questo favorisce nella persona che vive lo stato di colpa una situazione di confusione e di tentativo di distrazione per non sentire questa voce interna che martella incessante, ma si evidenzia una volontarietà a farsi del male e questo conferma il libero arbitrio, ognuno è libero di scegliere anche se è contrario al proprio benessere, anzi in genere è proprio così, una forma di autosabotaggio.
In merito a questo aspetto, legato a possibili rimorsi o sensi di colpa, risulta evidente che la vita deve essere vissuta con intensità, preferibilmente con un approccio molto pratico cioè se funziona per me è buono, mi accresce mi dà pace e soddisfazione, se invece non mi funziona e mi diminuisce è male per me, il tutto indipendentemente dall’aspetto sociale, dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio, senza lasciare situazioni aperte da chiarire, occorre essere sempre coerenti e forzarsi a chiudere tutte le situazioni sospese, di modo da non avere il pensiero Ah se avessi fatto o avessi detto, questo diventa poi un serpente che divora dentro, questa è una definizione che ho sentito citare.
Allora bisogna uccidere questo serpente evitando che il pensiero, quel pensiero fisso si stabilizzi nella mente e per fare questo occorre prendersi per mano con tanto amore e darsi una tranquilla logica razionale, hai fatto tutto quello che potevi e la natura ha fatto il suo corso, ricordiamoci che noi non possiamo mai sostituirci ad altri neanche a volerlo o poterlo fare, ognuno è tremendamente responsabile di sé stesso e dei propri pensieri, ricordandoci che ciò che la mente pensa tocca.
Neanche la religione è in grado di aiutare in quanto non entra per lo più in merito alla responsabilità individuale ma tende a rimettere la esistenza nelle mani di Dio, al destino, al volere supremo, ad accettare la esistenza per come ci si presenta.
Quindi la elaborazione del lutto, qualunque esso sia, al di là della reazione sul momento che sicuramente è comprensibile e giustificabile, di fatto quella realtà, persona, cosa o situazione non c’è più e ciò che lascia perplessi, la sensazione che si vive è la impossibilità di fare alcunché ma solo prenderne atto e superare la situazione, e questo si può fare con preparazione specifica come già evidenziato, e impegnarsi al meglio per non lasciare situazioni incompiute o sospese che possono un domani fare retroazione emotiva e psicologica, e immergersi nel fare come investimento operativo in altro con quella soddisfazione che fa tornare il sorriso e che ci fa tornare alla mente pensieri e ricordi positivi in riferimento alla carenza, si era bello ma ora non c’è più quindi pensiamo ad altro.
La stessa Natura ogni anno muore e rinasce, la vita è una azione continua di alternanza tra vita e morte, in ogni istante nel mondo ci sono delle morti ma ci sono anche nuove vite e questo è il gioco eterno della vita, se ci pensiamo bene ogni azione che facciamo quando è finita è un po’ come morta ma immediatamente noi ci proiettiamo in una nuova azione, rinascita, quindi il ciclo riprende con vigore.
Biologicamente noi esistiamo grazie a tutti quelli che sono stati prima di noi e noi abbiamo la responsabilità di portare avanti quel mandato che la natura ci ha assegnato, senza fare accenno a cosa ci aspetta nell’al di là, in molte culture ad esempio il lutto viene vissuto in festa per il passaggio ad una vita di livello superiore.

di Gian Franco Grassi, psicologo e ricercatore
Presidente Fondazione Homo Novus
Cofondatore ALFASSA